venerdì 11 marzo 2011

LA FESTA DI SANT’ANTONIO IN ABRUZZO

Antonio eremita egiziano, nato a Coma intorno al 251, conosciuto anche come Sant'Antonio il Grande, sant'Antonio d'Egitto, ma anche sant'Antonio del Fuoco, sant'Antonio del Deserto, sant'Antonio l'Anacoreta, visse dapprima in una plaga deserta della Tebaide in Egitto e poi sulle rive del Mar Rosso, dove condusse vita anacoretica per più di 80 anni. Morì ultracentenario nel 356.
Fu il santo delle tentazioni: il diavolo gli apparve in tutte le sembianze, angeliche, umane e bestiali. Nell'iconografia è raffigurato infatti circondato da donne procaci (simbolo delle tentazioni) o animali domestici (come il maiale), di cui è popolare protettore, ma compare anche con il bastone degli eremiti a forma di T, la ‘tau' ultima lettera dell'alfabeto ebraico e quindi allusione alle cose ultime e al destino.

                                  Il culto di Sant'Antonio Abate è ancora molto radicato in Abruzzo ed è particolarmente diffuso nelle zone rurali e nei borghi di montagna. Sant'Antonio Abate ha rappresentato una delle figure principali della religiosità popolare.
Venerato come protettore degli animali ( la sua immagine si trovava un tempo in tutte le stalle dei contadini), viene invocato per la salute del bestiame domestico e del corpo, specialmente contro il «fuoco di Sant'Antonio».
Per la cultura contadina la sua festa (il 17 gennaio) apre il ciclo dell'anno ed è ancora un giorno fondamentale del calendario, che indica oltre ai giorni dell'anno anche le opere da compiere e i lavori da eseguire nelle campagne.
Lo spirito di questa antica festa, che si ricollega alle altre feste abruzzesi di fuochi invernali, prima o dopo il solstizio d'inverno, ancora vive.
Gli anni che passano e la modernità che lotta con le tradizioni. Ma il giorno del Santo continua ad esser un "giorno di fuochi", e la memoria che vince l'oblio torna a raccontare ai più piccoli e a ricordare ai più anziani, usi e costumi delle comunità di un tempo, perché non se ne smarrisca definitivamente il significato e la bellezza.
Tanti piccoli centri si animano già prima e la gente dei luoghi prepara mucchi di legna o colonne di canne che, una volta accese, rischiareranno scorci e piazze, daranno luce a facciate di palazzi e chiese nei tanti borghi abruzzesi: i "fuochi di Sant'Antonio". Un elemento tradizionale e fondamentale della festa del Santo, riconosciuto come colui che vinse i diavoli e le fiamme dell'inferno. In alcuni paesi, gruppi di giovani mascherati girano di casa in casa a “cantare S. Antonio”: uno impersona il Santo Eremita; spesso c'è anche una turba di diavoli, la ragazza tentatrice e l'angelo che porta conforto.
Lo spirito di questa antica festa contadina resiste in Abruzzo, e in alcuni centri riveste particolare importanza.  

 

A Fara Filiorum Petri, prov. di Chieti, si bruciano le farchie, gigantesche colonne di canne che vengono innalzate davanti la chiesa di Sant' Antonio Abate ed incendiate nella sommità. Nel suggestivo spettacolo delle fiamme che guizzano nei colori bruni del tramonto, il paese festeggia insieme ai visitatori con canti e musica del folclore abruzzese, buon vino e cibi tradizionali. Nella vicina chiesa, intitolata a Sant'Antonio Abate, viene celebrata la funzione religiosa che ha il suo culmine nella benedizione delle Farchie in presenza della statua del Santo.Prima che il fuoco le consumi completamente, le farchie vengono private della sommità ardente e riportate nelle singole contrade, dove la festa continua in un clima di allegria e di ospitalità che caratterizza tutta la manifestazione.

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A SCANNO si festeggia Sant’Antonio il Barone. La leggenda "de lo beatissimo egregio Missere li barone Sancto Antonio", è uno dei più interessanti documenti della antica poesia volgare abruzzese. Opera di un chierico che dovette diffonderla, come mostrano chiare tracce della tradizione orale, in tutta l'area aquilana, il componimento è giunto fino a noi nel Codice Casanatense 1808, studiato da Vittorio Monaci che su esso tracciò il quadro delle origini linguistiche e tematiche della Letteratura italiana.Databile ai primi anni del Trecento la Leggenda è entrata nel repertorio dei poeti di occasione, specie in quelli appartenenti al mondo pastorale ed ha improntato moltissime orazioni in uso delle compagnie di questua che, in occasione della festa del Santo, attraversano ancora l'Abruzzo. 

A Scanno, che fu tra i più fiorenti centri dell'economia armentizia, il ricordo di questo antico componimento è ancora tanto vivo che Sant'Antonio, chiamato altrove Abate o di Gennaio, è detto Barone, anche allo scopo di distinguerlo dal Santo di giugno, detto del giglio, ed a cui si tributa una spettacolare festa.La mattina del 17 gennaio, di buon ora, la famiglia Di Rienzo che un tempo possedeva la maggiore parte delle greggi svernanti in Puglia, dà disposizione che si collochi fuori il portone del suo aristocratico palazzo una o più grandi caldai di rame, ricolmi di fumanti sagne con la ricotta.I devoti, dopo aver ascoltato la messa nella vicina chiesa di Sant'Antonio Abate, si avviano, con il prete in testa al corteo, verso casa Di Rienzo. Qui, dopo che il religioso ha provveduto a benedire il cibo, con una speciale formula che richiama molto l'incipit del cantare medioevale, ognuno si serve, riportandosi a casa un mestolino di minestra che consuma per devozione. Se il diciassette cadeva di venerdì, la ricotta, ritenuta cibo grasso dalla Chiesa, veniva sostituita dai fagioli e dall’olio di oliva.

La cerimonia, anche per lo scenario in cui si svolge è molto pittoresca e dà avvio al Carnevale. Un tempo, subito dopo la distribuzione delle sagne, il Corriere di Carnevale, cavalcando un recalcitrante somarello, annunziava per il paese, a suon di tromba che erano aperti i festeggiamenti del periodo più pazzo dell'anno. Lo seguivano le maschere tradizionali che ricalcavano l'antica drammaturgia religiosa delle origini, rappresentando gli eremiti, i piccoli confratelli e l'episcopello, un bambino che per un giorno impersonava il vescovo e ne svolgeva le funzioni. 

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A Pratola Peligna la tradizione vuole che la sera del 16 di gennaio,si svolga una "rappresentazione in costumi caratteristici" con Sant' Antonio e il diavolo, impersonati da due confratelli della SS.Trinità,  accompagnati da musicanti che cantano la vita, le tentazioni e i miracoli del santo e girano per le vie del paese fino a tarda notte. Il 17 gennaio per la festa di Sant' Antonio a Pratola è antica usanza benedire gli animali; dopo la funzione della santa messa, presso la chiesa della SS.Trinità, la statua del santo viene portata in processione fino a  piazza Garibaldi nel centro del paese,  dove il Parroco impartisce la sua benedizione ad un coloratissimo corteo composto da animali domestici

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Una antica festa circondata da molte leggende, quella di Sant'Antonio Abate che si svolge ad Atri nei giorni 16 e 17 gennaio. Come in altri piccoli centri abruzzesi la sera del 16 gruppi di giovani girano per le case e le masserie di campagna cantando "Lu Sand'Andùne", un canto recitato, una  rappresentazione in cui compare il diavolo, nell'intento vano di tentare il Santo. Dopo la rappresentazione si è soliti mangiare salsicce, salsicciotti, formaggio, prosciutto e bere del buon vino.

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                  Oh che bella devezzióne
                  tè Chellonghe a Sant'Antone!
                  Quanta festa, quante spese
                  fa a ji Sante 'ste paese! …

 

A Collelongo il Santo eremita è festeggiato con una serie di cerimonie il cui elemento principale è il cibo.
La sera della vigilia del 16 gennaio, sette famiglie del paese, quasi sempre per assolvere un voto, o per esternare la propria devozione al Santo, pongono sul fuoco un grosso caldaio di rame, detto in dialetto locale cottora, in cui pongono a bollire grosse quantità di granturco, precedentemente tenuto in ammollo. Poiché i chicchi cuocendo si gonfiano, la minestra che se ne ricava è chiamata dei cicerocchi. Il locale in cui arde la cottora è predisposto per accogliere la visita di parenti ed amici, ed è addobbato con lunghe file di aranci, cestine di uova, frutta secca, in mezzo a cui troneggia un quadro di Sant'Antonio Abate.
L'operazione di bollitura ha inizio con la benedizione del parroco, che deve provvedere a recarsi presso ciascuna delle famiglie che partecipa al rito, e continua tra i canti e le preghiere degli astanti che si alternano nel compito di rigirare il granturco nel paiolo per mezzo di un lungo cucchiaione di legno, in quanto l'operazione è ritenuta foriera di prosperità e benessere.
Chiunque giunge a visitare la cottora viene accolto festosamente e riceve un complimento a base di vino e dolci. L'ospite, dal canto suo, si avvicina alla cottora e ne gira il contenuto recitando parole di augurio e di devozione. In questo modo si trascorre tutta la notte, mentre compagnie di questua, accompagnandosi con vari strumenti popolari, tra cui non mancano le zampogne, provenienti dalla vicina Valle del Liri, cantano l'Orazione di Sant'Antonio in cui si narrano la vita, le tentazioni ed i miracoli dell'eremita egiziano.
Di fronte alla chiesa parrocchiale, in un'antica cappella della quale è conservata una preziosa statua di pietra raffigurante Sant'Antonio Abate che, per l'occasione, è anch'essa decorata di agrumi, frutta e uova, i giovani accendono una grande catasta di legna, punto di riferimento delle compagnie e dei devoti che vi si ritrovano intorno per cantare le lodi al santo e passare la notte in allegria. Alle prime luci dell'alba inizia la distribuzione dei cicerocchi: innanzi tutto una lunga fila di ragazze, reggendo sulla testa conche di rame addobbate di fiori e di nastri, si reca in chiesa per offrire al santo una grande quantità di cicerocchi, che poi vengono consumati per devozione dai fedeli. Inoltre le famiglie che hanno provveduto alla preparazione delle cottore si premurano, oltre che a distribuire i cicerocchi a parenti ed amici e a chiunque ne faccia richiesta, anche a predisporre dei capaci recipienti lungo la strada, affinché anche i pellegrini ed i viandanti possano attingere al cibo rituale del granturco cotto.
Da qualche anno le ragazze che conducono i cicerocchi in chiesa hanno dato vita alla pittoresca gara delle conche riscagnate (cioé addobbate per l'occasione), in cui viene premiata quella decorata con maggior cura ed originalità. La festa continua per tutto il giorno con cerimonie religiose e popolari in onore del Santo.

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VILLAVALLELONGA: Le Panarde.

Con il nome di panarda si indica, specialmente nell'Aquilano, un rituale di consumo collettivo del cibo che consiste in un banchetto allestito in precise ricorrenze calendariali.
L'origine del vocabolo è piuttosto oscura, e probabilmente deve essere ricercata nella radice indoeuropea pan intesa nel senso di abbondanza. L'aspetto più spettacolare della panarda, almeno attualmente, sta nella quantità delle portate che possono superare anche il numero di cinquanta e nella etichetta che impone ai commensali di onorare la tavola, consumando tutte le vivande portate in tavola.
panarda castello La tradizione è comune a molti paesi, ma dove il rito ancora esprime compiutamente il concetto di celebrazione comunitaria con forti permanenze magico-sacrali, è a Villavallelonga, un piccolo centro posto entro la zona montagnosa del Parco Nazionale d'Abruzzo. Un documento ricorda che nel 1657 tale Pietro Paolo Serafini, secondo una consolidata tradizione familiare, distribuiva una minestra di fave per perpetuare un voto fatto dai suoi antenati a Sant'Antonio Abate. La devozione popolare racconta che "tanti anni fa una donna della famiglia Serafini lasciò una creatura in fasce nella culla e andò a prendere l'acqua alla fontana. Tornando a casa incontrò un lupo che la portava in bocca. Invocò Sant'Antonio e il lupo lasciò la bambina. La donna promise al Santo la festa a fuoco, cioè la panarda. Dopo, la promessa si è tramandata per eredità".
Attualmente le famiglie obbligate sono una ventina ed ogni anno, immancabilmente, la sera del 16 gennaio, allestiscono un grandioso banchetto che si protrae tutta la notte. Nella stanza in cui si svolge il convivio viene preparato un altare su cui troneggia l'immagine di Sant'Antonio Abate, in mezzo a composizioni ornamentali dette corone e costituite da frutta, uova, dolci. Quando tutti gli invitati hanno preso posto alla mensa il panardere, ovvero il capo di casa, recita il rosario, le litanie ed infine intona  l'Orazione di Sant'Antonio, dopo di che dà l'ordine di servire gli ospiti.


Per quanto riguarda il cibo, la panarda, accanto ad un repertorio di vivande e di specialità gastronomiche locali, presenta alcuni alimenti fissi che non possono mancare in nessun caso. Essi sono: brodo di gallina e vitello, il caldaio del lesso, maccheroni carrati all'uovo con ragù di carne di pecora e detti "di Sant'Antonio", la pecora alla cottora, le fave lessate e condite, le frittelle di pasta lievitata, le ferratelle, la frutta con cui sono confezionate le corone e la panetta. La cena si protrae per tutta la notte, sia per dare modo ai convitati di consumare agevolmente le portate, sia perché il servizio ogni tanto è intramezzato da momenti di preghiera e dal canto di formule religiose, sia perché infine, ad una certa ora, le case dei panarderi vengono visitate dalle compagnie di questua. Mentre nelle piazze ardono enormi falò di legna, gruppi di cantori prendono a girare le strade e a visitare le case dove il loro arrivo è atteso e ben accetto e le loro esecuzioni sono ricompensate con cibo e somme di denaro. Le visite dei gruppi e dei canterini durano fino alle ultime ore della notte, dopo di che vengono riordinate le mense e viene servita l'ultima portata: un piatto di fave lesse, accompagnate dalla panetta, che è una speciale preparazione di pasta lievitata a cui sono state aggiunte le uova.
Prima però il panardere ringrazia tutti i presenti e intona con loro il Padre Nostro. Solo dopo questo ultimo atto e dopo ovviamente aver consumato le fave, la panetta e un bel bicchiere di vino in onore del Santo protettore, gli invitati lasciano la casa, dandosi appuntamento per l'anno venturo.

mercoledì 9 febbraio 2011

IL CONSIGLIO D’ABRUZZO APPROVA LA “GIORNATA DEGLI ABRUZZESI NEL MONDO

chiavaroli Pescara, 8 febbraio 2011 - La “Giornata degli Abruzzesi nel Mondo” diventa una istituzione. Lo ha deciso all’unanimità questa mattina il Consiglio regionale. “A ricordo – come evidenzia l’articolo 1 della legge istitutiva - dell’emigrazione regionale, al fine di rafforzare l’identità degli abruzzesi nel mondo e rinsaldare i rapporti con la terra d’origine”, ogni anno, il 5 agosto, sarà celebrata questa ricorrenza. Verranno organizzate cerimonie e momenti di approfondimento, in collaborazione con le Province, i Comuni e le scuole, così da ricordare il fenomeno dell’emigrazione abruzzese sotto vari aspetti. Inoltre, ogni anno, in accordo con la Conferenza dei Capigruppo, il Presidente del Consiglio regionale conferirà l’onorificenza di “Ambasciatore d’Abruzzo nel mondo” che sarà assegnata agli emigranti di origine abruzzese che si sono distinti non solo all’estero, ma anche in altre regioni italiane. “Con questa legge approvata oggi, si scrive una bella pagina istituzionale e si riconosce un tributo, non solo formale, ai tanti abruzzesi emigrati e ai loro attuali discendenti”. E’ quanto afferma il consigliere regionale del PDL Riccardo Chiavaroli, promotore e ideatore della legge tra le prime del genere in Italia. “Ringrazio l’intero Consiglio Regionale d’Abruzzo - afferma ancora Chiavaroli - per l’approvazione di un testo che assume particolare valore perché oltretutto non si tratta di un fatto occasionale, bensì di un impegno duraturo”.

lunedì 24 gennaio 2011

LE MALELINGUE DI SANT’AGNESE

L’Aquila, 21 gennaio – L’antica tradizione di Sant’Agnese, ben nota a tutti gli aquilani, consacra ogni anno in modo goliardico il rito della maldicenza. Lo scorso anno, nonostante la tragedia del sisma fosse ancora molto recente, gli aquilani hanno comunque deciso di onorare questo antico rito, sia pure in tono minore, in quanto la festa continuava a essere sentita come elemento dell’identità cittadina.

sant'Agnese Sulle origini di questa tradizione che si festeggia soltanto a L’Aquila, e che si tramanda ormai da tanti secoli, sono due le teorie più accreditate. La prima sostiene che nei primi anni della fondazione della città, vi fossero vari gruppi di persone che si riunivano, complice il rigido inverno, presso locande ed osterie per criticare i signori di allora. Per questo motivo, uno di questi gruppi fu esiliato dalla città. Essendo stati esiliati il 21 gennaio, furono soprannominati “quelli di Sant'Agnese”. Dopo sei mesi, a seguito delle numerose richieste da parte delle madri, mogli e fidanzate, “quelli di Sant'Agnese” furono riammessi in città ma a condizione che non facessero più pettegolezzi all'interno delle mura cittadine. Presero pertanto a riunirsi presso un'osteria vicino Porta della Rivera, appena fuori dalle mura cittadine.

L’altra ipotesi si ricollega al fatto che all'Aquila, a Sant'Agnese era dedicato un convento. Nel 1874, il complesso conventuale venne inglobato nelle strutture dell'Ospedale "San Salvatore" di viale Nizza, dove ancora sono visibili sia gli ambienti monastici e sia la bella chiesa di Sant'Agnese, cappella del nosocomio fino al trasferimento dello stesso a Coppito. Anticamente tale convento ospitava quelle che l'Antinori, storico aquilano, chiama le persone della “povera vita”, cioè le “pentite o mal maritate”, e tra queste anche le prostitute. Queste donne, spesso andavano “a servizio” presso le famiglie più benestanti della città, venendo così a conoscenza dei segreti delle case gentilizie presso cui lavoravano, segreti che mettevano in piazza dentro e fuori il convento, conditi con l'immancabile dose di esagerazione, ogni qualvolta avevano l’opportunità di incontrarsi e di scambiarsi confidenze e pettegolezzi. Ciò avveniva in particolare durante i festeggiamenti dedicati alla Santa cui era intitolato i convento e che giustamente, per l’occasione, le vedeva tutte riunite, anche per la gratitudine che sicuramente provavano nei confronti delle monache del convento di Sant'Agnese.Tra loro, ma qui siamo nel campo delle ipotesi, si creò una sorta di gerarchia in base alla capacità di spettegolare; una gerarchia a cui potrebbe aver preso l'eredità quella che si istituisce ogni anno, ancora oggi, con tanto di votazioni. male

Nel tempo anche gli appartenenti alla nobiltà e la borghesia celebrò la festa di Sant'Agnese anche se, dato il loro ceto, veniva assegnata una sola carica, quella del Priore. Tutte le altre cariche dai nomi più fantasiosi o altisonanti, sono invece di estrazione popolana.
Per questo è tradizione, a L’Aquila, la sera del 21 gennaio riunirsi in confraternite o congregazioni con lo scopo di usare bene la lingua, anche in senso gastronomico, per eleggere al loro interno le varie cariche, tratto distintivo della ricorrenza.Ce ne sono alcune storiche, che ricorrono in tutte le confraternite, ma per il resto anche qui la fantasia degli aquilani si è scatenata e c’è chi ne conta oltre duecento cariche.Ogni gruppo che si rispetti deve avere un suo Presidente, quello con la lingua più lunga di tutti, spesso aiutato da un Vice presidente o da un Segretario. A completare il direttivo non dovrebbero mancare mai la Lavannara, colei la Lima Sorda, che corrode, ma in silenzio, e la Mamma deji cazzi deji atri, che non ha bisogno di molte altre spiegazioni. Per il resto si può spaziare con la fantasia: da “Ju Zellusu”, quello che protesta sempre, alla “Recchia fredda” o “Recchia de prete”, quello che sta sempre ad origliare, alla “Lengua zozza”, a “ju Capisciò . Tra queste confraternite quella dei “Devoti di Sant’Agnese” è la più nota e da 45 anni elegge il Priore il quale, tiene a ricordare che “non si allude al “dire male” ma al “dire il male”, preservando lo spirito simpatico e mai infamante dell’antico costume.